Il nome della rosa

Installazione scenica, luci, adattamento, scelte musicali e regia di Pablo Maximo Taddei

Personaggi ed interpreti

Flavio De Paola: Guglielmo da Baskerville – Adso da Melk (Voce da giovane e voce da vecchio) voce di Malachia

Danilo Zuliani: MASCHERE di: Jorge -Bencio -Abbone- Alymaro- Frà Michele- Alinardo- Remigio- Monaco con grembiule sporco di sangue

Emiliano Ottaviani: MASCHERE di: Salvatore- Severino- Berengario – Bernardo Guy- Pacifico- Nicola- Pietro- Frate Abbazia

Questo recital di musica e testo … traghetterà il romanzo in un’azione drammatica dove gli eventi si susseguiranno … “dietro la porta dei ricordi”. Ricordi mescolati con i sogni del vecchio Adso Melk. Un viaggio …

Un viaggio … in un mondo oltremondano. Come quello di Dante e Virgilio … Adso, dunque, viene accompagnato da Guglielmo da Baskerville “nell’inferno” di quel lontano ricordo.

Una precisazione: Nella rilettura teatrale il personaggio Gugliemo non è più raccontato da Adso ma, vive il -“qui e adesso” -hic et nunc- nell’azione drammatica. Dunque la sua figura diventa, per così dire, prevalente. Motivo per cui ho scelto il costume da frate mendicante e non quello benedettino di Adso. Dunque, sulla scena … Adso sarà un’ombra.

Le maschere, in questo cammino onirico, hanno la stessa funzione che avevano nelle antiche tragedie greche a cui mi sono ispirato. Cominciamo col dire che tragedia deriva dal vocabolo traghizein (τραγὶζειν), che significa cambiare voce.

Come si sa, in questa forma antica di rappresentazione, gli attori indossavano maschere e le maschere variavano secondo il personaggio che l’attore doveva interpretare. Karen Blixen dichiarava : “non dal volto si conosce l’uomo ma dalla sua maschera”. Nella tragedia i protagonisti, senza eccezione, erano solo uomini. In scena si esibivano sempre due o tre attori, ognuno dei quali interpretava uno o più ruoli. L’attore protagonista, ossia proto-agonista, “primo competitore” aveva in genere la maggiore visibilità, ma anche gli altri due attori (secondo “deuteragonista” e il terzo ” tritagonista “) avevano anche loro ruoli rilevanti ”. Poi cera il coro … Nel nostro caso la “tecnologia” ha questa funzione.

Come ci testimonia Aristotele sulla scena compariva un solo attore Eschilo introdusse un secondo attore ma, in seguito, Sofocle inserì un terzo attore. Poi arrivarono … Euripide e Socrate … infilarono il germe della dialetticità nel teatro tragico … e così, la purezza musicale dell’inizio, il fenomeno “miracoloso” dell’irrappresentabile finì.

In questo recital, le memorie, lontane, accadono nell’azione teatrale ma, come tutti i vecchi ricordi sono fatti della stessa sostanza dei sogni e quella sostanza trasfigura le cose e deforma i volti. Come i ritratti di Francis Bacon, o le visioni allucinate del Goya. Un “carnevale gotico”.

E qui entra in gioco la maschera: il volto è, ovviamente, una variante di infinite maschere … e la fissità della maschera ha la necessità di coinvolgere il corpo … per avere altre possibilità espressive così, inevitabilmente, scatena un corpo a corpo tra lei e la “faccia mancante”, perché dietro la maschera non c’è il volto, c’è un io irreperibile che per ritrovarsi si fa corpo.

(Non a caso l’espressione latina dramatis personae, tradotta alla lettera, significa maschere del dramma… ed ancora:

persona dal latino per = attraverso, sonar = risuonare.)Nel grande teatro non ci sono personaggi … ci sono orchestre di non-“io”.

Va sottolineato che ci saranno, nel recital di musica e testo, momenti dove, anche, la commedia si paleserà con brevi “ frammenti” all’interno degli eventi tragici del racconto.

L’attore, Flavio de Paola interprete di Guglielmo-Adso, vivrà al centro di una serie di performance complesse, curiose e affascinanti, dove la vocalità sarà elemento fondante nella musicalità dello spettacolo. Lo accompagneranno, in scena, altri due interpreti :Danilo Zuliani e Emiliano Ottaviani, moltiplicheranno le presenze con effetti di luce, apparizioni, cambio di maschere e, ovviamente, timbri vocali: tutti gli attori utilizzeranno la tecnica degli “psicosuoni”-(progetto mnemonico)- … (un metodo sull’uso della voce e del corpo da me elaborata in più di vent’anni di ricerca). Friedrich Nietzsche diceva : “Ciò che nel linguaggio meglio si comprende non è la parola, bensì il tono, l’intensità, la modulazione, il ritmo con cui una serie di parole vengono pronunciate. Insomma la musica che sta dietro le parole, la passione dietro questa musica, la personalità dietro questa passione: quindi tutto quanto non può essere scritto. Per questo lo scrivere ha così poca importanza”. L’andatura dello spettacolo sarà ritmata dalla musicalità, scandita da un tempo e da uno spazio che si compiono nell’ aion – αἰών-, (non tempo) cioè: La narrazione/racconto si paleserà in un’azione presente e avverrà in un “altrove luogo”. Nel luogo, appunto, onirico, dove tutti gli elementi presenti, nell’azione , possiederanno lo stesso valore espressivo: Voci, suoni, rumori, visioni, apparizioni … come in un sogno … senza gerarchie: la parola non sarà più importante di un tuono, del vento, o del gracchiare dei corvi, o delle campane “irrazionali”. Insomma: “democrazia dei linguaggi”. Questo, fatalmente, fa precipitare l’astante-pubblico nel (non)tempo dello spettacolo. Dunque, come in un sogno ma, in questo caso, ad occhi aperti. “Un concerto di voci più che un fatto episodicamente teatrale” .

La scena rivelerà i simboli di cui si nutre la cristianità.

Eccovi le foto di questa fantastica reinterpretazione de “Il nome della rosa”

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